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Antonella Marino - Pièces

10 opere ispirate a La Vita istruzioni per l’uso di Georges Perec

 

Tutto ciò che la sua memoria aveva registrato, tutte le sensazioni che aveva provato, i suoi sogni, le sue passioni, le sue collere, vi avrebbero trovato posto, riuniti in una somma di elementi minuscoli, il cui totale sarebbe stato la sua vita.

 

È quasi una dichiarazione di poetica la citazione tratta dal monumentale iper-romanzo di Georges Perec La Vie mode d’emploi (Hachette, 1978), apposta sotto una minimale cassetta in legno aggettante su un pannello blu: introduce al percorso espositivo della mostra intensa, complessa e a più livelli di lettura, che Enzo Tempesta ha dedicato al geniale scrittore francese. La scatola, sigillata da fascette in plastica, racchiude dieci foto raccolte dall’artista una per anno dal 2000 al 2010, come indica la scritta intagliata al centro del coperchio. Però non si può aprire, il contenuto è celato, non visibile. Un’altra scatola, questa volta aperta, accoglie invece la prima edizione del romanzo. Accanto, ritagli muti di una pagina bianca ridotta in pezzi… 

 

Ispirandosi sinteticamente alla struttura formale del testo di Perec (che in 99 capitoli descriveva con scientifica pignoleria un caseggiato di 10 piani, con 10 stanze per piano, a formare un biquadrato di 100 elementi), la sequenza di opere messe in scena da Tempesta la condensa in dieci lavori che ruotano intorno a un ipotetico palazzo. 

La sua facciata, divisa dai tagli verticali di un antistante cartoncino che reca stampati i primi capitoli, riporta il titolo “Rue Simon-Crubellier, 11”, indirizzo inesistente dell’edificio parigino fine ‘800 immaginato da Perec. Però la foto ritrae un altro stabile, quello primo ‘900 sul lungomare di Bari in cui Enzo Tempesta vive. Sull’elegante prospetto frontale risaltano solo cinque finestre illuminate, che segnalano cinque vani disposti a elle su tre piani (a ricordare la mossa degli scacchi, usata per lo schema del romanzo). A essi si accede internamente da una grande scalinata. Un suo scorcio, accostato a un paragrafo attinente, ci introduce idealmente nelle stanze: cinque inquadrature fotografiche incorniciate di altrettanti salotti borghesi ricchi di mobili e variate suppellettili, con alcuni dei loro abitanti. 

Sono suoi amici còlti nel loro habitat quotidiano. Ai quali si aggiunge, dentro il proprio appartamento, l’artista stesso….

Dal contesto spaziale, il focus si restringe quindi sulle persone. 

Con libera allusione ad alcuni personaggi del libro, incentrato sul visionario progetto creativo/esistenziale del miliardario inglese Percival Bartlebooth: la ricostruzione per 20 anni - dopo complicati passaggi -  dei 500 puzzles ricavati dalle vedute di porti e località marine dipinte nei precedenti 20 anni di viaggi in tutto il globo.  Ecco quindi un misterioso “pittore da giovane” che affiora su una piccola foto sbiadita (tratta da un vecchio negativo in vetro trovato insieme ad altri da un rigattiere). Il riferimento è a Serge Valène, il pittore da cui Bartlebooth prenderà lezioni di acquerello per 10 anni. Intravediamo poi il volto misterioso di una donna, dipinto a olio con effetti velati su uno specchio d’argento incollato su carta da parati (elemento che ricorre nelle descrizioni degli appartamenti). Un interrogativo alla Magritte scritto in basso evoca il nome di Letizia, probabilmente la Grifalconi del libro. Altre due figure femminili, “madame et son amie”, appaiono su una fotina bianco/nero malinconicamente appuntata dentro una cassetta di attrezzi di un’ipotetica ditta Moreau anni ’50 (di cui si parla nel romanzo). Mentre ricordi, vecchie foto, una bambola rotta, fuoriescono dalla valigia d’antan “di Gratiolet”, da cui proviene il nostalgico suono di una canzoncina francese.  

 

Citazioni letterarie e spunti autobiografici, evocazioni tra passato e presente, finzione e realtà, s’intrecciano dunque in una serie arguta e còlta di rimandi, sovrapposizioni visive, giochi di parole, disseminati ad arte. Indicativo è il titolo scelto per la mostra. Pièces: cortocircuito di significati tra stanze, pezzi di un insieme, ma anche spettacolo e rappresentazione scenica. Come intriganti tracce indiziarie, le pièces di Tempesta sembrano quasi ricomporsi in un grande puzzle finale, con 134 tessere fotografiche - o meglio “Sessantasette + sessantasette”, ossia il doppio dei suoi anni - di luoghi o situazioni per lui significativi, incollate su un pannello in legno circolare. Una parte di questo, però, resta incompleta. Così ancora una volta il vissuto dell’artista s’interseca con la conclusione del romanzo, il fallimento del progetto di Bartlebooth. Ormai cieco, muore con in mano l’ultima tessera mancante: sarebbe dovuta essere una X ma invece era una W. Il suo disegno non aveva fatto i conti con la casualità della vita stessa!  

 

Molte dunque, come si può capire, sono le suggestioni con cui Enzo Tempesta si confronta in questa operazione impegnativa. Non si tratta infatti di una semplice fascinazione letteraria. Il suo omaggio a Perec è un processo di personale appropriazione che nasce da sedimentate affinità e dalla formazione in una specifica temperie culturale condivisa. Nel clima concettuale anni ’60-70 si colloca la singolare esperienza dell’OuLIPo, il gruppo francese di scrittori e matematici di cui Perec era figura di spicco, alla ricerca di un dispositivo per narrare che faceva ricorso alla matematica e a regole codificate per stimolare la fantasia creativa. Una scientificità stralunata come im-possibile baluardo «all’incoerenza inestricabile del mondo», l’intrigo che percorre le analisi filosofiche di Bertrand Russel e di Wittgenstein. E in letteratura ha a che fare in qualche modo con l’idea borgesiana del mondo come labirinto, come biblioteca, come enciclopedia da svelare nei suoi meccanismi e nella sua struttura, ma in cui centrale è il ruolo del caso. 

 

Pratiche parallele di misurazione, classificazione, permutazione e combinazioni matematiche o strategie di apparizione/distruzione-

dispersione, campo di possibilità e indeterminatezza, si ritrovano in quel periodo in artisti visivi di area anglo-americana (da Sol Lewitt a Douglas Huebler, da Lawrence Weiner a Mel Bochner e nei nostri Vincenzo Agnetti e Alighiero Boetti, per citarne alcuni). 

Referenti che Enzo Tempesta assimila durante gli studi coevi all’Accademia di Belle Arti di Bari, dove prende avvio la sua ricerca (messa da parte dopo un breve esordio pubblico per dedicarsi con successo a tempo pieno per oltre 40 anni alla carriera di graphic designer e ripresa solo di recente). Una sintonia è riscontrabile soprattutto con quel filone di “analitica dell’esistenza” che riflette sullo scorrere del tempo (si pensi a On Kawara o Roman Opalka). Reinterpretato però con una più calda sensibilità materica, a partire da cassetti di ricordi, contenitori mentali o reali (Duchamp docet).  

 

Tra gli aspetti che accomunano la poetica di Enzo Tempesta a La Vita istruzioni per l’uso c’è soprattutto l’esigenza di raccontare la storia delle persone attraverso gli oggetti. 

Da oggetti quotidiani e vecchi reperti, raccolti con emotivo “impulso archivistico” e vocazione spontanea da collezionista, è attratto per il loro essere deposito di memoria. Oggetti che si fanno “cose”, nell’accezione che ne dà Remo Bodei: «Un oggetto sfida il soggetto, e da parte sua il soggetto deve inglobarlo e farlo proprio. Una cosa, invece, è un oggetto sul quale si sono depositati dei significati, che siano affettivi, intellettuali o altro. In genere dovremmo trasformare gli oggetti in cose per rendere più sensata la nostra vita».

In generale nei lavori di Tempesta, realizzati con diverse tecniche e materiali, le “cose” semplici della vita quotidiana funzionano sempre come serbatoio di memorie individuali e collettive, filtro tra memoria privata e memoria storica, innesco di storie in cui tempo e spazio si fondono. Ma, come in Perec, l’urgenza del racconto deve fare i conti con la coscienza dell’irreparabile frammentazione dell’esperienza moderna dello stare al mondo. La scrittura combinatoria di Perec (o di Queneau) si collegava anche a quel concetto di “differenza e ripetizione” di Deleuze, come tensione verso «nuovi modi di vivere e di pensare l’univocità dell’essere per pensare l’infinita pluralità delle differenze». 

Tempesta dal canto suo procede per tracce, segni, frammenti appunto. Le sue opere sono come frasi aperte, tasselli di un mosaico, o meglio pièces di un puzzle non finito. Riflessioni sul proprio essere in relazione agli altri, sul pieno, sul vuoto, sulla parte mancante. 

Che poi, tornando alla citazione iniziale, è una metafora del tutto, della vita ma anche della morte.

ANTONELLA MARINO - Ottobre 2020

Catalogo della mostra

 

Pietro Marino - La vita come un puzzle fra arte e scrittura

Ha iniziato a riprendere fiato l’Alliance Française, l’associazione che tanta parte ha avuto nella vita culturale di Bari. Ha una nuova sede (in realtà un ritorno) in un palazzo storico della città vecchia. Era rimasta bloccata dall’improvvisa scomparsa l’anno scorso del suo presidente e animatore, il professor Domenico (per tutti Mimmo) D’Oria. Poi la moglie Michèle e il figlio Serge hanno dovuto fare i conti con la clausura da Covid e con la necessità di abbandonare via Marchese di Montrone. Il trasloco non è ancora terminato. Intanto gli spazi si aprono con una mostra coerente con la mission di rapporto fra Italia e Francia. Infatti la personale di Enzo Tempesta è ispirata da uno scrittore francese di culto, Georges Perec. La seconda, dopo la personale del 2018 in Nuova Era che segnò il suo ritorno pubblico all’arte dopo una lunga carriera da grafico. Perec a sua volta, prima di morire (a 54 anni) nel 1982, era stato più volte «complice» di Mimmo - come ricorda Michèle in catalogo. 

 

Un incrocio di storie e di dati che può aiutare ad entrare nell’atmosfera raccolta e meditativa della stanza che propone in circolo le «opere” di Tempesta. Dieci «stazioni» (o «piecès») con composizioni fotografiche, collage, e mini-installazioni oggettuali, che ripercorrono liberamente il capolavoro di Perec: La vita istruzioni per l’uso (1978, in Italia 1984). Concepito come un puzzle o «romanzo di romanzi», descrive minutamente le vite degli abitanti di un immaginario palazzo di Parigi alto 10 piani con dieci appartamenti per piano. Ognuno dei quali cela «un mistero, un dramma, una peripezia» - scrisse Italo Calvino. Condivideva con Perec una strategia del linguaggio come «regola» di sguardo inesorabile sulle cose e sui gesti e tessitura di sorprendenti relazioni tra i frammenti di un enigma peraltro impossibile da ricomporre: l’esistenza, appunto. Un atteggiamento che investe tutta la cultura analitica postmoderna, dalla filosofia alla letteratura all’arte.

 

L’artista barese riprende citazioni e suggestioni dal libro combinandole e sovrapponendole a citazioni e suggestioni del suo vissuto: la vera abitazione di Bari, le stanze dei suoi amici, vecchie fotografie da una valigia, reliquie di oggetti personali. La sua metrica è necessariamente semplificata rispetto al modello. Ma basta per conferire maggiore lucidità mentale al gioco di «memorie private» che già informava la sua mostra di due anni fa. Le pratiche artistiche sanno di Duchamp e Magritte. E la malinconia complessiva dell’ambiente rinvia piuttosto al tempo ritrovato di Proust. Come conferma il grande disco finale, dove il puzzle di Perec si fa caleidoscopio rotante di frammentati collage di sue storie ed emozioni. Incompleto naturalmente. Perché l’altra vita è da scoprire.

Nella Domus Milella (strada de’ Gironda 22) sino al 27 ottobre.

 

PIETRO MARINO - La Gazzetta del Mezzogiorno 8/10/2020

 

 

Marilena Di Tursi - La vita, istruzioni per l'uso. Omaggio a Georges Perec 

 

La nuova dimora dell’Alliance Française, nella Domus Milella a Bari vecchia, apre la stagione espositiva dopo la scomparsa di Mimmo D’Oria che, per anni, ne ha curato e animato l’attività tenendo vivo un presidio fondamentale per la crescita culturale della città. Il nuovo corso inizia con la personale di Enzo Tempesta, «Pièces. 10 opere ispirate a La vita istruzioni per l’uso di Georges Perec» (fino al 27 ottobre, info@afbari.it). Dieci lavori, come i dieci appartamenti, con altrettante stanze, dello scrittore francese e del suo romanzo ambientato nell’immaginaria Rue Simon-Crubellier. 

Tempesta allestisce dieci microinstallazioni riferite alla propria biografia e a una narrazione aperta affidata a oggetti, fotografie e ogni sorta di cimelio personale. Elementi che intrecciano riferimenti a esperienze maturate a partire dagli anni Settanta, alla sua stessa abitazione o a quella di amici, accanto, ovviamente, a citazioni tratte dal libro e a suggestioni che ne ricalcano il format. Il tutto conforme a un’estetica del frammento, a una decostruzione priva di gerarchia che, scrive Antonella Marino nel testo in catalogo, è una cifra interpretativa della condizione moderna dello stare al mondo.

Le dieci stazioni dell’artista barese mettono in scena le cose costringendole a stimolare storie e memorie, a funzionare come condensatori di associazioni, combinazioni e cortocircuiti mentali. Pratica, del resto, condivisa dallo stesso Perec, che toglieva la facciata al suo palazzo di fantasia per spiarne la vita degli abitanti, senza ordine, con tracce immerse in un ritmo temporale dilatato e altalenante. 

Su questo stesso mood Tempesta asseconda i processi mnemonici, recuperando un complesso di dati che entrano in risonanza tra loro. Per esempio, fotografie d’antan che fuoriescono da valigette di gusto duchampiano; immagini di interni o di gruppi familiari; oggetti isolati con criptici riferimenti a luoghi o a persone; la prima edizione del capolavoro di Perec, custodita in una teca reliquiario; suggestive manipolazioni tra testi e icone, intessute in regolari geometrie. Per finire, un irradiante cerchio-collage che rimescola nuovamente le carte consentendo ad altre memorie di riguadagnare il caos originario.

MARILENA DI TURSI - Corriere del Mezzogiorno 16/11/2020

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